LA BELLA E LA BESTIA: L’EFFETTO DEI CINGHIALI SULL’HABITAT DELLA FARFALLA ZERYNTHIA CASSANDRA

Angry wild boar, sus scrofa, having a guard and taking care of his family in the background. Little piglet standing on the corn field protected by the dominant pig. Concept of family protection.
Il cinghiale (Sus scofa) è tra gli ungulati più abbondanti in Europa e la sua rapida diffusione sta creando preoccupazioni come una delle principali minacce alla biodiversità. Tuttavia, attraverso il loro  grufolare i cinghiali potrebbero svolgere un ruolo efficace nella creazione di specifiche risorse di microhabitat per piante e animali.  Lo studio “Beauty and the beast: multiple effects of wild boar rooting on butterfly microhabitat”, pubblicato su Biodiversity and Conservation da Rocco Labadessa dell’’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IIA-CNR) e da Leonardo Ancillotto del Dipartimento di agraria dell’università degli Studi di Napoli Federico II,  ha testato l’ipotesi che il cinghiale influisca positivamente nella creazione di un habitat idoneo per una specie di farfalla minacciata d’estinzione, la Zerynthia cassandra, valutando l’influenza del grufolare su molteplici aspetti chiave della biologia e dell’ecologia di questo lepidottero endemico mediterraneo . «Vale a dire – spiegano Labadessa e Ancillotto –  che abbiamo usato Z. cassandra come modello per testare gli effetti del grufolare del cinghiale sulle opportunità di foraggiamento degli adulti, sulla presenza di piante ospiti e sulla selezione del sito di ovideposizione».

Z. cassandra è stata riconosciuta come una specie sorella della Zerynthia polyxena  grazie allo studio “Speciation in Mediterranean refugia and post-glacial expansion of Zerynthia polyxena (Lepidoptera, Papilionidae)” pubblicato nel 2010 sul Journal of Zoological Systematics  Evolutionary Research da Leonardo Dapporto, allora docente di matematica e scienze all’Istituto comprensivo “Convenevole da Prato” di Prato e oggi  ricercatore di zoologia al Dipartimento di biologia dell’università di Firenze. La nuova specie è stata poi riconosciuta da altri studi.  Come evidenzia il nuovo studio pubblicato su Biodiversity and Conservation: «La Z. cassandra è una specie a cova singola con capacità di dispersione molto limitate e strettamente dipendente dalla presenza di piante ospiti del genere Aristolochia , come A. rotunda e A. lutea  e ha visto le popolazioni in declino negli ultimi decenni, con documentate estinzioni localizzate».

La dipendenza dalle Aristolochie e lo stile di vita “sedentario” rendono le Z. cassandra altamente a rischio di estinzione a causa di cambiamenti del micro-habitat (ad esempio, scomparsa della pianta ospite, invasione di praterie), e rappresentano quindi un ottimo modello candidato per valutare gli effetti degli ungulati sulla flora e la fauna.

Il nuovo studio è stato condotto nella Murgia, in Puglia,  nei siti Natura 2000 ZSC/ZPS “Murgia Alta” e “Area delle Gravine”, un’area, compresa tra i 100 ei 700 metri sul livello del mare  caratterizzata da un altopiano calcareo compatto, privo di corsi d’acqua superficiali, con clima è mediterraneo e temperature annuali da 7 a 9° C in gennaio a 25 – 27 ° C in luglio/agosto, e precipitazioni di 500–700 mm all’anno, per lo più in autunno–inverno, con nevicate occasionali sopra i 500 metri, Il paesaggio è caratterizzato da estensioni di praterie aride e cerealicole, con residue macchie di boschi di roverella (Quercus pubescens sl), boschi submediterranei con la quercia di Troia ( Quercus trojana) e boschi sempreverdi mediterranei con pino di Aleppo ( Pinus halepensis.) e leccio (Quercus ilex). Il cinghiale è l’unica specie di ungulati selvatici presente, con una densità di popolazione di circa 20 – 50 individui/100 ha. I livelli della  popolazione di cinghiali non sono mantenuti dalle politiche venatorie, anche se al di fuori delle aree protette si pratica poca caccia sportiva. Lo studio ha selezionato 6 radure forestali di varia forma e dimensione (da 0,06 a 0,49 ha) nella porzione sud-orientale dell’area studiata. Su tratta di siti selezionati perché rappresentativi a livello locale di siti importanti per Z. cassandra e la sua pianta ospite A. clusii , in concomitanza con il verificarsi di un’attività notevole da parte di cinghiali e in assenza di bestiame domestico e recenti usi del suolo da parte dell’uomo. Sono terreni precedentemente coltivati e ora ricoperti da vegetazione erbacea seminaturale con invasioni sparse di arbusti e piccoli alberi. I due ricercatori evidenziano che «La Zerynthia cassandra è diffusa nel mosaico agroforestale, soprattutto nella parte sud-orientale dell’area di studio, ed è associata alla presenza di Aristolochia clusii come pianta ospite primaria. La distribuzione di altre potenziali piante ospiti, come A. rotunda e A. lutea , è ristretta a pochi siti ad altitudini più elevate e nelle aree forestali».

Labadessa  e Ancillotto hanno così scoperto che «Le comunità erbacee disturbate dal grufolare del cinghiale hanno una percentuale maggiore di piante che rappresentano risorse di nettare per le farfalle che volano presto. Abbiamo anche scoperto che il grufolare del cinghiale influenza positivamente la presenza e l’abbondanza della pianta ospite larvale di Z. cassandra , così come la selezione del sito delle farfalle per la deposizione delle uova. I nostri risultati indicano che i cinghiali possono localmente rivelarsi utili per le farfalle in via di estinzione favorendo la qualità e la disponibilità dell’habitat».

Come fanno i due ricercatori, «Inoltre, il nostro studio documenta innanzitutto l’importanza della negletta specie endemica italiana A. clusii come risorsa alimentare per le larve di Z. cassandra . Finora, gli studi sulla pianta ospite di Z. cassandra si sono basati su osservazioni riguardanti A. rotunda e A. lutea . Tuttavia, A. clusii rappresenta la pianta ospite principalmente disponibile in molti siti all’interno dell’areale di distribuzione di Z. cassandra, ad esempio nella maggior parte della porzione peninsulare della Puglia. Questa evidenza, in parte dovuta ad una possibile errata identificazione delle specie di Aristolochia in campo, impone di riconsiderare alcune delle precedenti osservazioni in Puglia, che dovrebbero essere parzialmente riferite ad A. clusii piuttosto che ad A. rotunda».

Labadessa  e Ancillotto sottolineano che «Presi insieme, i nostri risultati indicano che, almeno entro le condizioni soddisfatte nella nostra area di studio, l’attività di radicazione del cinghiale può rivelarsi benefica per la qualità dell’habitat e la disponibilità di farfalle mattiniere aumentando le risorse alimentari, favorendo le piante ospiti e influenzando la selezione del sito di ovideposizione, come esemplificato dagli effetti che abbiamo registrato sull’endemica italiana Z. cassandra in via di estinzione. I cinghiali sono ancora in aumento in tutta Europa, creando talvolta preoccupazioni a causa di popolazioni sovrabbondanti che danneggiano i raccolti o minacciano la fauna selvatica. Nel nostro caso, la densità dei verri era elevata, ma l’intensità del grufolare era relativamente bassa, come tipico degli habitat delle praterie, e limitatamente alla stagione invernale, due fattori che dovrebbero suggerire cautela prima di generalizzare i nostri risultati alla grande varietà di contesti ecologici in cui la specie è presente. La diffusione del cinghiale come ingegnere ambientale può quindi prevenire localmente alcune delle minacce che ostacolano la persistenza e la conservazione degli invertebrati che vivono in habitat aperti, ad esempio l’invasione delle praterie.

Ma i due ricercatori avvertono che «L’elevata densità di ungulati può anche fornire altri effetti negativi (ad es. pascolo eccessivo e calpestio) che possono contrastare gli effetti positivi del grufolare. Sono quindi certamente necessarie ulteriori ricerche per valutare i livelli ottimali di pressione di radicazione che portano a effetti positivi sulle farfalle di prateria in via di estinzione e su altri taxa protetti potenzialmente colpiti da questo ungulato (ad esempio le orchidee). Tali effetti positivi a cascata sulla qualità dell’habitat possono tuttavia rappresentare risorse chiave nella gestione locale di cinghiali e invertebrati di interesse per la conservazione e dovrebbero quindi essere inclusi nel processo decisionale quando si pianificano azioni di gestione del cinghiale».

La Zerynthia cassandra  dell’Isola d’Elba (la farfalla s di San Piero) è diventata uno dei simboli del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Era stata segnalata all’Elba agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso – più di 30 anni prima che all’Elba venissero introdotti i cinghiali a scopo venatorio –  ma per molto tempo non  era stata più avvistata, al punto da essere considerata estinta fino al suo ritrovamento risalente al 2008 ad opera di Leonardo Dapporto e della compianta fotografa naturalista Ornella Casnati di Legambiente Arcipelago Toscano. Le Aristolochia, le  piante nutrici della Z.Cassandra, all’Elba sono presenti in pochissime aree e in condizioni microambientali molto ristrette e con una presenza di cinghiali e mufloni elevata e sono presenti anche capre.

Abbiamo sentito Leonardo Dapporto, i cui studi sono tra i più citati da Labadessa  e Ancillotto, che ci ha detto: «Io ho sempre pensato che i cinghiali alle Zerynthia cassandra  non gli facessero poi male perché c’eravamo sempre accorti che loro anche all’Elba non mangiano l’Aristolochia e quindi grufolano lì intorno e non la mangiano. Ora, quanto poi siano veramente benefici dipende dall’ambiente in cui vai a lavorare (Labadessa  e Ancillotto hanno lavorato nella Murgia), sia anche da questioni meramente statistiche. Però mi era venuta già l’idea che i cinghiali non facessero grossi danni alla Zerynthia. Secondo me fanno più danno gli altri ungulati perché praticamente rimuovono tutti i fiori e gli adulti di Z. Cassandra non hanno più risorse. Inoltre, le capre qualche morso alla punta dell’’Aristolochia, dove ci sono le larve, ogni tanto glielo danno, i cinghiali, invece, praticamente la parte verde non la mangiano, semmai mangerebbero i bulbi, ma non li prendono perché sono puzzolenti e sono velenosi».

Per quanto riguarda la diversità degli habitat citata anche da Labadessa  e Ancillotto, Dapporto è d’accordo e conclude: «Dipende da quale tipo di impedimento c’è intorno alle piante nutrici. Per esempio, all’Elba il problema grosso delle piante di Aristolochia è che sono coperte di rovi e di altri arbusti, e quelli certo i cinghiali non se li mangiano. Probabilmente lì in Murgia il problema è diverso: cioè i cinghiali ripuliscono da altri tipi di piante che stanno intorno alle Aristolochie. Secondo me all’Elba l’effetto positivo dei cinghiali non c’è. Però e vero che non c’è nemmeno quello negativo»

Tratto da del 20 Gennaio 2023