CAVALLI SPORTIVI DESTINATI ALLA PRODUZIONE DI CARNE: RISCHIO FUORI CONTROLLO PER LA SICUREZZA ALIMENTARE E IL BENESSERE

Nel corso dell’ultimo decennio l’industria farmaceutica veterinaria ha guidato un complesso percorso di semplificazione normativa che consente già oggi a medici veterinari, proprietari e cavalieri di garantire il benessere dei cavalli sportivi tutelando al tempo stesso la salute del consumatore di carni equine e limitando i sofferti obblighi burocratici di coloro che a diverso titolo sono chiamati alla corretta gestione degli equidi (organi di controllo compresi).

Il legame tra uomo e cavallo è uno dei più consolidati della storia; il cavallo deve all’uomo la propria evoluzione, se non addirittura l’esistenza stessa ai giorni nostri; l’uomo deve al cavallo buona parte del progresso dell’umanità.
Nel corso dei secoli uomini e cavalli sono stati affiancati in un rapporto imprescindibile che ha sconvolto il corso della storia e ha dato origine a una produzione letteraria, anche di tipo tecnico e scientifico, che non ha eguali in nessun altro ambito delle attività umane. In agricoltura, nei trasporti, nelle comunicazioni, in guerra e nello sport, il cavallo è sempre stato un “compagno fidato” dell’uomo ed ha avuto un peso decisivo nell’evoluzione socio- economica dei popoli. Naturalmente il suo ruolo si è modificato nel tempo e da quando il motore a scoppio ha cambiato il modo di lavorare, di viaggiare e di combattere, anche il cavallo ha mutato le proprie funzioni assumendo, nella seconda metà del novecento, una connotazione prettamente sportiva.
La più evidente conseguenza della metamorfosi del cavallo da animale da lavoro e/o da carne ad animale sportivo sta nella sua consistente riduzione numerica.
Oggi il cavallo è a tutti gli effetti una specie minore.
In Italia vivono dodici milioni di cani e gatti, quattrocento milioni di polli, otto milioni di bovini, sei milioni di ovini, tredici milioni di suini e solo trecento-quattrocentomila cavalli.
In tutta Europa la consistenza della popolazione equina non supera i sei milioni di esemplari (dati FEI, Corso Fise Settembre 2011 Roma).
Ciò non impedisce a uomini e cavalli di continuare a condividere le rispettive esistenze traendo reciproci benefici gli uni dagli altri. Imponenza, bellezza, forza, agilità e velocità dei cavalli continuano a suscitare in tutti noi un’insopprimibile attrazione che ci spinge a dominarli per impossessarci, almeno in parte, delle loro doti sovrumane.
Così, dopo secoli, l’addestramento rappresenta ancora oggi il passaggio fondamentale del rapporto uomo-cavallo, che dimostra come quest’ultimo sia in grado di apprendere e quindi sia un “essere cognitivo”.
Cognitivo significa anche che una volta addestrato, oltre ad essere capace di eseguire i nostri ordini, il cavallo impara a conoscerci a fondo, a interpretare i nostri comandi, i nostri umori, i nostri comportamenti e persino le nostre intenzioni.
Non v’è alcun dubbio che in virtù dell’esperienza maturata a fianco dell’uomo, i cavalli addestrati vivano la macellazione nel modo più drammatico possibile, in preda al panico e al terrore più profondo.
Questi soggetti dovrebbero essere risparmiati da una fine così terribile sia per la sensibilità che hanno sviluppato vivendo con l’uomo, sia per semplice rispetto; in tale concetto rientra la garanzia di una fine dignitosa, diversa dalla macellazione.

Tuttavia quando l’industria farmaceutica scende in campo a favore della scelta NON DPA corre il rischio di essere tacciata, solitamente da frange culturalmente retrograde, di avere precisi interessi in tal senso.
Ebbene è verissimo, l’industria farmaceutica veterinaria ha tutto l’interesse ad escludere i cavalli sportivi dalla produzione alimentare! Tuttavia, siccome tali interessi sono legittimi, intende comunicarli correttamente.

La soddisfazione delle esigenze industriali
in questo campo, oltre a promuovere un comparto strategico come quello farmaceutico, favorisce il benessere del cavallo, la sicurezza alimentare, la diffusione dello sport e il corretto impiego delle risorse umane che  Stato, Regioni e Comuni hanno assunto per garantire la sicurezza alimentare.

In altre parole quelli dell’industria sono gli obiettivi condivisibili di una società efficiente che non può, né vuole più permettersi di sprecare risorse e di mettere a rischio sia la salute pubblica sia il benessere animale.
Per l’uomo come per il cavallo non vi può essere benessere senza terapia e quest’ultima non cade dal cielo come manna provvidenziale, bensì origina da investimenti in ricerca e sviluppo messi in gioco proprio dall’industria farmaceutica.
Ora, gli investimenti finanziari necessari sia per sviluppare nuovi farmaci destinati agli equidi, sia per mantenere in commercio quelli attualmente disponibili, rischiano di non trovare sufficienti giustificazioni economiche.

I principali costi di sviluppo
e di manutenzione scientifica dei medicinali destinati ai cavalli, se produttori di alimenti, sono dovuti alla tutela del consumatore di carni equine (definizione dei Livelli Massimi Residuali consentiti e dei Tempi di sospensione dei trattamenti).

In questi mesi, inoltre, si stanno sovrapponendo anche i costi dovuti alla documentazione di impatto ambientale.

L’industria si trova di fronte a un bivio: abbandonare il cavallo alle proprie patologie o perseguire la riduzione dei costi di sviluppo e di mantenimento sul mercato dei medicinali per i cavalli sportivi, che tra l’altro sono i più bisognosi di cure ed anche i più rappresentati.
Al disimpegno dell’industria farmaceutica veterinaria seguirebbe una sorta di caos burocratico – amministrativo generato dal ricorso “in deroga” al farmaco per uso umano o al medicinale per specie animali diverse dal cavallo, quale ripiego terapeutico recuperabile dal “sistema a cascata”!
Va tuttavia notato che il legislatore considera il ricorso alla cascata un atto eccezionale tant’è che lo autorizza sotto la diretta responsabilità del medico veterinario, il quale dovrà coprire in solido danni e/o lesioni provocate da eventuali reazioni avverse nel cavallo o dalla incongruità dei tempi di sospensione nell’uomo, tutto ciò operando con l’oggettiva difficoltà di avere informazioni attendibili al riguardo.
Per il veterinario curante l’individuazione di tempi di sospensione dei trattamenti effettuati con farmaci per uso umano o per specie animali diverse dal cavallo rimarrà un problema di difficile soluzione e si presterà sempre a contestazioni e diatribe.
Va aggiunto che il cavallo sportivo è difficilmente controllabile sotto l’aspetto della sicurezza alimentare perché è in continuo movimento sul territorio, così gli equidi produttori di carni destinate al consumo umano (DPA) dovrebbero essere allevati con garanzie analoghe a quelle richieste agli altri animali allevati a tale scopo. Tali garanzie sono date dalle caratteristiche delle aziende in cui gli equidi sono tenuti e dalla professionalità dei loro gestori nella produzione di derrate alimentari salubri. In tal senso gli equidi produttori di carne dovrebbero rimanere fisicamente vincolati ad allevamenti idonei di aziende controllabili in analogia con l’allevamento delle altre specie produttrici di alimenti.
Bovini, suini e polli sono stabilmente tenuti in impianti noti, facilmente controllabili dalle Autorità sanitarie e allevati da professionisti della produzione alimentare in grado di offrire concrete garanzie di salubrità al consumatore.
L’alternativa alla problematica situazione derivante dal disimpegno dell’industria farmaceutica dal settore degli equini consiste nell’esclusione del cavallo sportivo dalla filiera alimentare e nello sviluppo di medicinali dedicati agli equidi NON DPA a costi accettabili.
Questa soluzione genera prospettive di crescita economica e culturale per tutto il settore ippico ed equestre, compresa la classe dei veterinari ippiatri, che in un futuro prossimo, anche grazie all’appoggio di AISA, potrebbe ottenere un ruolo rilevante nella distribuzione di questo tipo di medicinali ma che, al contrario, non potrà mai inserirsi proficuamente nella distribuzione del farmaco umano, anche se somministrabile in deroga agli equidi da carne.
AISA sostiene quindi con decisione una semplificazione normativa che classifichi il cavallo sportivo come un equide NON DPA svincolato dalla azienda in cui risiede per fini anagrafici, ma dalla quale si possa spostare liberamente senza alcuna registrazione (fatto salvo il caso delle emergenze epidemiologiche) e che possa accedere alla più ampia disponibilità di trattamenti con farmaci.

Tratto da AISA Newsletter