SI SONO DIMEZZATI GLI INSETTI. COLPA DI CAMBIAMENTO CLIMATICO E AGRICOLTURA INTENSIVA

 

Nel 1995 la campagna inglese visse la più grave siccità degli ultimi 100 anni e questo portò alla diminuzione del 66% delle farfalle cavolaie che nelle aree agricole più frammentate praticamente si estinsero. Nel 2015 uno studio dimostrò che le popolazioni inglesi di cavolaie si erano riprese negli habitat meno alterati dalle attività antropiche, ma non  nelle aree coltivate. Ora il nuovo  studio “Agriculture and climate change are reshaping insect biodiversity worldwide”, pubblicato su Nature da Charlotte Outhwaite, Peter McCann e Tim Newbold del Centre for biodiversity and environment research dell’University College London (UCL), conferma che il declino di queste farfalle e degli altri insetti è globale.

Dagli 800.000 dati su quasi 18.000 specie raccolti dai ricercatori UCL in 6.095 parti del pianeta risulta che dove l’agricoltura intensiva coincide con un maggiore cambiamento climatico locale, l’abbondanza di insetti è quasi la metà di quella delle aree meno danneggiato dalle attività antropiche.

E’ la drammatica conferma di altri studi e di quello che gli entomologi dicono da anni sul calo sia dell’abbondanza (densità delle popolazioni) che della diversità (numero di specie) degli insetti. Un calo che è stato confermato anche per gli impollinatori come i bombi e le api mellifere. Le cause sono molte, la maggior parte di origine umana, come nel caso dell’impatto dell’inquinamento luminoso sulle lucciole o dei fertilizzanti sulle farfalle, o dell’avanzare dell’urbanizzazione, della deforestazione e, soprattutto, del cambiamento dell’utilizzo dei suoli e del cambiamento climatico.

Il team dell’UCL  ha  confrontato l’impressionante database sulla biodiversità animale  PREDICTS con l’evoluzione delle temperature medie e massime nell’ultimo secolo e l’utilizzi del suolo nelle aree interessate: habitat naturale, agricoltura estensiva, pascoli, coltivazioni intensive con elevate quantità di prodotti chimici, monoculture o meccanizzazione agricola. I risultati dimostrano che, le aree ad agricoltura intensiva e che hanno anche subito un maggiore riscaldamento vedono un’abbondanza di insetti inferiore del 49% rispetto alle aree non coltivate e dove il cambiamento climatico locale è relativamente minore. In termini di diversità, nelle aree più alterate il numero di specie è inferiore del 27%.

La Outhwaite spiega: «Quindi, i siti ad agricoltura intensiva che hanno anche subito sostanziali cambiamenti climatici hanno circa il 50% di insetti in meno rispetto ai siti di vegetazione primaria che non hanno subito cambiamenti climatici significativi. La sinergia tra tipologia d’uso del suolo e riscaldamento è la grande novità di quest’opera. La percentuale di riduzione è il risultato dell’interazione dei due fattori, non misuriamo quanto di questo cambiamento sia responsabilità di ciascuno separatamente. L’importante è che entrambi [cambiamento climatico e colture] lavorino insieme per causare un declino maggiore rispetto a se lavorassero da soli. A parità di cambiamento climatico, vediamo maggiori riduzioni dell’agricoltura intensiva rispetto all’agricoltura a bassa intensità».

Gli insetti sopportano il cambiamento climatico peggio di altri animali. Lo studio “Phenological shifts alter the seasonal structure of pollinator assemblages in Europe” pubblicato nel gennaio 2020 su Nature Ecology & Evolution da un team internazionale di ricercatori aveva già dimostrato come centinaia di specie stessero anticipando il loro ciclo vitale e l’involo per sincronizzarlo con le fioriture sempre più precoci. Ma molte specie di insetti sono ectoterme, devono adeguare la loro temperatura corporea alla temperatura ambiente, altre  modulano il loro comportamento in base a quanto fa caldo e la Outhwaite fa notare che «Quindi l’aumento delle temperature influenzerà direttamente gli insetti e anche la disponibilità di temperature più fresche, come nei luoghi ombreggiati. Da parte sua, il cambiamento nell’uso del suolo può anche influenzare la disponibilità di ombra, il che significa che è più probabile che gli insetti siano più esposti alle alte temperature».

Nell’aprile 2020 Science ha pubblicato “Meta-analysis reveals declines in terrestrial but increases in freshwater insect abundances”, il più ambizioso e completo studio sul declino degli insetti mai realizzato, nel quale un team di scienziati olandesi, tedeschi e russi ha dimostrato che, sebbene con grandi variazioni tra alcuni luoghi e altri, l’abbondanza degli insetti è diminuita in media di circa il 10% ogni decennio, almeno a partire dagli anni ’80. Ora, il principale autore di quello studio, Roel van Klink, del Deutsches Zentrum für integrative Biodiversitätsforschung (iDiv) è contento che la nuova ricerca sia riuscita a dimostrare l’impatto sugli insetti dell’interazione tra agricoltura e cambiamento climatico: «Dimostrano che l’agricoltura è dannosa per gli insetti, il che è prevedibile, e che il cambiamento climatico ha peggiorato le cose». Ma il team di van Klink aveva anche  scoperto che gli insetti che vivono vicino a fiumi, laghi e bacini idrici non solo erano in declino, ma che ogni decenni avevano aumentato le loro popolazioni dell’11%. Anche le specie acquatiche siano una minoranza, rappresentano un decimo del totale, il che è una buona notizia e in questo caso gli esseri umani hanno svolto un ruolo positivo: «E’ molto probabile che gli aumenti, almeno in Europa e Nord America, siano dovuti ai miglioramenti della qualità dell’acqua dagli anni ’70 – ha detto van Klink in un’intervista a El País – Spesso dimentichiamo quanto fosse pessima la qualità dell’acqua. Grazie alla normativa e alla realizzazione di impianti di depurazione, gran parte dei rifiuti ha smesso di finire nei fiumi».

Ma il nuovo studio dimostra che mentre gli insetti prosperano nelle aree naturali temperate, sono in netto declino nei tropici, dove le specie erano abituate a minori oscillazioni termiche e la loro elasticità al riscaldamento sembra minore. Infatti, dallo studio pubblicato su Nature emerge che nel Sud-est asiatico e in Sud America, dove la sinergia tra agricoltura e cambiamento climatico è più pronunciata, ci sono le maggiori riduzioni di abbondanza e diversità.

Il paradosso è che l’agricoltura sta distruggendo alcuni insetti di cui ha bisogno. Come ha dimostrato lo studio “A global synthesis reveals biodiversity-mediated benefits for crop production” pubblicato nel 2019 su Science Advances da un team guidato da Matteo Dainese, di Eurac Research, più insetti ci sono, migliori sono le coltivazioni. E Dainese ricorda che non si tratta solo degli impollinatori, ma anche di altri insetti importanti per l’agricoltura: «In particolare, vorrei sottolineare il ruolo chiave dei nemici naturali dei parassiti, come coccinelle predatrici, coleotteri terricoli o insetti parassitoidi che si nutrono di parassiti che altrimenti danneggerebbero o addirittura distruggerebbero le colture».

Uno degli autori dello studio di Dainese, Ignasi Bartomeus dell’Estación Biológica de Doñana ricorda che «Anche gli scarafaggi hanno la loro funzione, essendo i principali pulitori biologici negli ambienti urbani» e  non crede che siamo di fronte a un crollo delle popolazioni di insetti: «Non ci sono dati per affermare una cosa del genere. Ma siamo di fronte a un segnale di avvertimento molto chiaro che potrebbe accadere entro pochi decenni. Oltre alle minacce che circondano questi animali, c’è anche un problema di atteggiamento: gli insetti non sono protetti come facciamo con i vertebrati».

Eppure, la conservazione degli insetti sarebbe più facile di quella di altri esseri viventi: data la sua minore estensione geografica del loro areale, agire sui microhabitat potrebbe ridurne notevolmente il declino. Lo stesso studio del team della Outhwaite rileva che nelle aree ad agricoltura non intensiva e con l’impatto dei cambiamenti climatici, la riduzione dell’abbondanza di insetti è molto inferiore (intorno al 7%) se intorno ci sono porzioni significative di territorio naturale.

Ma i ricercatori dell’UCL sono molto più preoccupati dei loro colleghi e dicono che  «Le pressioni combinate del riscaldamento globale e dell’agricoltura stanno determinando un sostanziale declino degli insetti in tutto il mondo. Dobbiamo riconoscere le minacce che poniamo agli insetti, prima che alcune specie vadano perdute per sempre».

Preservare l’habitat naturale potrebbe aiutare a garantire la prosperità degli insetti vitali per l’agricoltura. La Outhwaite sottolinea che «La perdita di popolazioni di insetti potrebbe essere dannosa non solo per l’ambiente naturale, ma anche per la salute umana e la sicurezza alimentare, in particolare con la perdita di impollinatori. I nostri risultati evidenziano l’urgenza di azioni per preservare gli habitat naturali, rallentare l’espansione dell’agricoltura ad alta intensità e ridurre le emissioni per mitigare il cambiamento climatico».

I ricercatori britannici dicono che «C’è qualche motivo di speranza nel fatto che mettere da parte aree di terra per la natura ha creato un rifugio per gli insetti, che hanno bisogno di ombra per sopravvivere nella stagione calda». Secondo Newbold, «Un’attenta gestione delle aree agricole, come la conservazione degli habitat naturali vicino ai terreni agricoli, può aiutare a garantire che gli insetti vitali possano ancora prosperare».

Le potenziali soluzioni includono: Evitare l’agricoltura intensiva; Piantare una vasta gamma di colture; Conservazione dell’habitat naturale vicino a terreni agricoli, come siepi e macchie di foresta.

McCann, conclude: «Dobbiamo riconoscere quanto siano importanti gli insetti per l’ambiente nel suo insieme e per la salute e il benessere umani, al fine di affrontare le minacce che rappresentiamo per loro, prima che molte specie vadano perdute per sempre.

Tratto dadel 21 Aprile 2022