PERCHÉ GLI ELEFANTI AFRICANI HANNO LA PELLE SCREPOLATA? PER MANTENERSI FRESCHI (VIDEO)

La pelle degli elefanti africani (Loxodonta africana) è ricoperta da milioni di minuscole fessure che svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del calore corporeo. Infatti, gli elefanti africani non possono sudare perché sono privi di ghiandole sudoripare, devono quindi  cospargere regolarmente di acqua e fango questa fitta rete di rughe e fessure che gli permettono di assorbirne molto di più e mantenerle più a lungo che se la loro pelle fosse liscia. Evaporando, quest’acqua permette all’elefante di non surriscaldarsi e di riuscire a cavarsela nell’ambiente caldo e secco in cui vive. A scoprirlo è stato il team di ricercatori svizzeri, sudafricani e francesi che ha pubblicato su Nature Communications  lo studio“Locally-curved geometry generates bending cracks in the African elephant skin” e che spiegano che queste rughe e fessure sono fratture nell’epidermide, profonde circa un millimetro. Dopo aver analizzato la struttura degli strati della pelle dell’elefante, hanno scoperto che non è liscia come negli esseri umani, ma formata da “micro-collinoe” e sottolineano che «E’ la tensione su questi dossi e cavità, causata dal naturale ispessimento della pelle con l’età, che causa la rottura dell’epidermide».

Questo reticolo di minuscole rughe visibili e di piccolissime fessure ha una sorprendente somiglianza con le crepe che si creano del fango riarso, nell’asfalto danneggiato, o su una scala più grande, nella banchisa glaciale. Analizzando campioni di pelle di elefante e osservando direttamente gli elefanti in una riserva in Sudafrica, il team guidato Michel Milinkovitch, dell’Université de Genève (UnigeE) et del SIB Institut Suisse de Bioinformatique, ha scoperto che questi solchi erano molto più che profonde micro-rughe: «Abbiamo scoperto che si trattava di vere fratture degli strati cornei dell’epidermide« dice Milinkovitch.

All’Unige spiegano che «Studiando lo strato al di sotto delle zone di rottura, i biologi hanno scoperto che il derma dell’elefante non è una superficie piatta come negli esseri umani, ma forma una struttura simile alle valli alpine, fatta di minuscole vette di montagne , chiamate  papille e valli vuote. Le nostre analisi dei campioni di pelle di elefante dimostrano che le fessure seguono lo schema formato dalle micro-valli che circondano queste micro-montagne».

Dato che le fessure sono assenti negli elefantini appena nati, la cui pelle è ancora morbida, i ricercatori pensavano che si formassero a causa della estrema secchezza della pelle dei pachidermi che si riduce nel tempo prima di fessurarsi, come fa il fango secco. Per verificare questa ipotesi, un altro autore dello studio, Antonio Martin, ricercatore nel laboratorio di Milinkovitch, ha costruito un modello computerizzato e così i ricercatori hanno scoperto che il modello generava crepe che attraversavano anche le papille, cosa che non avviene negli elefanti. Hanno quindi utilizzato lo stesso modello matematico per testare una seconda ipotesi: La pelle si può fratturare a causa del suo spettacolare ispessimento su una superficie micro-vallonata? I risultati hanno indicato che «L’ispessimento della pelle provoca effettivamente forti tensioni tra le papille, che porta a un  piegamento dell’epidermide che si incrina esclusivamente nelle valli».

Però c’era un altro mistero da risolvere: queste fessure sono assenti nell’elefante asiatico (Elephas maximus) che pure ha la pelle micro-vallonata.  All’Unige dicono che «La spiegazione sta nella funzione di questi profondi crepacci» e Milinkovitch evidenzia che «La pelle dell’elefante africano può immagazzinare da 5 a 10 volte più acqua di una pelle liscia. L’acqua si infiltra e viene stoccata in queste fessure ed evapora lentamente, permettendo all’animale di raffreddarsi a lungo. Inoltre, queste fessure permettono al fango di rimanere attaccato alla pelle, fornendo uno strato protettivo contro il sole e gli attacchi costanti degli insetti. Se l’elefante asiatico non ha crepe, è probabilmente perché vive in un clima più fresco e umido, dove il raffreddamento per evaporazione è molto meno efficace«.

La pelle dell’elefante africano ha forti somiglianze morfologiche con quella delle persone affette da ittiosi vulgaris, un comune disturbo cutaneo congenito che colpisce circa una persona su 250, noto per causare secchezza e screpolature della pelle in seguito un ispessimento dello strato corneo dell’epidermide. All’Unige concludono: «Se delle comparazioni dettagliate in biologia molecolare convalidassero queste somiglianze, dimostreremmo che simili mutazioni genetiche, che si verificano indipendentemente negli esseri umani e negli elefanti africani, sarebbero state sfavorevoli per gli uni e molto utili negli altri».

Tratto dadel 03 Ottobre2018